Silvia Giuntini
Vertical tasting of Bucerchiale, the review by Sabrina Somigli on Intravino.com
“Bucerchiale Fattoria di Selvapiana, la verticale dal 1958 al 2013 Occasione ghiotta per parlare della Rufina, la mia terra. Di proposito non parlo di Chianti Rufina, ma semplicemente di Rufina, perché questo piccolo territorio, la meno vasta delle sottozone chiantigiane, che ha meno di 1000ha vitati iscritti all’albo, ha poco a che vedere col resto della denominazione. Questo non per celebrare la superiorità di un territorio rispetto ad altri, o giocare a chi ce l ha più lungo tra i Chianti, semmai a chi ce l’ha più alto, visto che la Rufina è comunemente indicata come il più alto tra i Chianti. Lo è per altitudine con vigneti, che nella zona di Dicomano e Diacceto non faticano ad arrivare ai 400 metri slm. Ma lo è anche per latitudine; la zona di Rufina è l’estrema punta settentrionale della grande denominazione Chianti, incastonata nell’Appennino, ai piedi del Monte Falterona, dove ha inizio il corso dell’Arno. Facile intuire come la sommatoria di questi due fattori possa essere riconducibile a una estrema diversità di questo territorio rispetto alle altre sottozone chiantigiane. Terra ancora piuttosto selvaggia, boscosa, terra di fronte in tempo di guerra, ancora poco battuta dai flussi turistici, benché a due passi da Firenze. La Rufina è particolarmente legata al sangiovese, che da queste parti si caratterizza per l’innata freschezza e per quel tannino Rufinese spesso riconoscibile. Vini dal carattere riservato, meno immediati e beverini di altri Chianti, con una capacità di invecchiamento importante. Eleganti e misurati, si esprimono al meglio nel tempo, con qualche anno sulle spalle. Il territorio di Rufina si snoda principalmente lungo il fiume Sieve, dove si possono identificare due aree: l’alta valle della Sieve, più stretta e ripida tra Dicomano e Colognole, e una parte centrale, da Rufina a Pontassieve, dove la valle si allarga, e la Sieve si congiunge all’Arno. Altre due aree completano il territorio: la conca che guarda a ovest che sale da Molino del Piano verso Doccia per poi riscendere a Sieci e la Valle di Pelago che si snoda lungo la statale del Passo della Consuma, e che rappresenta la porzione più a sud della denominazione che include anche la DOC Pomino, particolarmente vocata per pinot nero e chardonnay. Ed è nella porzione centrale, nel cuore della denominazione che si trova la Fattoria di Selvapiana, versante sinistro della Sieve. La Fattoria Selvapiana è per Rufina un riferimento qualitativo e storico, grazie anche alla Riserva Vigneto Bucerchiale, uno dei primi esempi toscani di vino aziendale di punta ottenuto da singolo vigneto. La proprietà è gestita dai fratelli Silvia e Federico Masseti Giuntini, conta circa 56 ha vitati e vanta uno storico di annate tra Riserva e Vigneto Bucerchiale (dal 1982 la Riserva diventa Riserva Vigneto Bucerchiale) che arriva al 1948. La verticale dal Chianti Rufina Riserva 1958 alla Riserva Vigneto Bucerchiale 2013 Poter assaggiare più annate di uno stesso vino va ben oltre la mera valutazione delle capacità evolutive dello stesso o delle migliori annate; è una lettura storica di un territorio, i cui cambiamenti sociali importanti si sono riflettuti sulla gestione agricola e di conseguenza sul vino stesso. Negli anni 50 e 60 la fattoria di Selvapiana era ancora gestita col sistema della mezzadria, i poderi erano coltivati a promiscuo e le viti erano molto vecchie. La maturazione del vino avveniva in botti di castagno e la malolattica era attivata con il sistema del governo all’uso toscano. Il chianti era ancora realizzato con la formula tradizionale che ammetteva anche le uve bianche. Chianti Rufina Riserva 1958: da una terra ancora segnata dal passaggio del fronte di guerra, un vino che regala tuttora il frutto integro. Io nemmeno ero nata e lui trattiene la ciliegia. Ancora cenni di sangue, china, erbe macerate. Il terziario non è compresso, si snoda pulito al naso. In bocca una punta di tannino viva e vegeta a 62 anni. Da una vigna promiscua con abbondante canaiolo, sangiovese, colorino, trebbiano e malvasia. Nel bicchiere poi cede a col tempo, ma solo dopo aver fatto la sua gran figura. Senza se e senza ma. Chianti Rufina Riserva 1965: la balsamicità, che si legge in resina e sentori di cipresso; poi cuoio e caffè d’orzo. Al colore si presenta più scarico del precedente, in bocca ha equilibrio e l’aspetto tannico avvertibile ancora nell’annata 58 qui è completamente fuso in un sorso morbido e levigato. Chianti Rufina Riserva 1973: il vino della seconda giovinezza. Escluso per molti anni dagli assaggi è stato riscoperto negli ultimi 5 anni. Come se avesse subito una sorta di risveglio dal coma di quella grandinata del settembre del 73 che compromise gran parte della produzione. È il campione col naso più altalenante, tra tabacco, canfora, cenni di rabarbaro, il terroso che arriva a tratti e anche liquirizia. Ma in bocca ha presa alcolica e persistenza grazie a una spiccata sapidità. Dal 1974, a seguito del decreto che impone la fine del contratto mezzadrile, le cose cambiano in agricoltura e la fattoria in generale inizia ad essere intesa come un’azienda con la conseguente introduzione di nuovi sistemi colturali e il vigneto da promiscuo diventa specializzato. A Selvapiana il processo di conversione dei vigneti si completa nel 1978; le densità di impianto di allora (3500 piante/ha) erano comunque basse per i criteri attuali. Chianti Rufina Riserva 1978: è il primo anno in cui la riserva viene prodotta con sole uve sangiovese e Selvapiana inizia la collaborazione con Franco Bernabei, tuttora in essere. È il vino del cambio di marcia, che ha polpa e lo si vede al colore più scuro e ricco, e al naso più esuberante di frutto nero , prugna, evidenze ematiche e canfora. Dal castagno si passa alla vinificazione in botti di rovere. Chianti Rufina Riserva 1980: l’intatto. Vino che non svolse la malolattica, conserva un naso veramente fresco, intatto nel piccolo frutto nero e in tenui cenni floreali (??). Bocca che chiude asciutta e decisa nella capacità di trattenere un tannino perfettamente integrato e saporito. Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale 1982: è il primo anno in cui compare il nome Bucerchiale in etichetta. L’82 è considerata la grande annata, per andamento climatico e maturazione delle uve, ma a dispetto di ciò è il vino che si presenta meno in forma di tutti, attraversato, al momento, da una leggera nota evolutiva. Prevalgono sentori di cuoio e pelliccia, liquirizia e tabacco secco. Chiusura di bocca leggermente amara. Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale 1985: considerata una “vendemmia unica”, dopo la gelata dell’85 che causò una sorta di diradamento naturale delle uve, i pochi grappoli superstiti si rivelarono concentratissimi e raggiunsero una ottima maturazione grazie all’andamento climatico primavera-estate regolare. Ed è unico anche al sorso, ma prima di tutto alla vista: rubino intatto, nessun cenno granato. Al naso è macchia mediterranea e mentolato, ha un sorso denso e pieno, e rivela una struttura solida grazie anche alla presenza di un tannino vivo e scattante. Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale 1990: cambia la vinificazione, il periodo di maturazione si allunga a 30 giorni ed il legno piccolo è già entrato in azienda. Carnaceo, molto compatto al colore e nello sviluppo: geranio, sambuco, terra e sottobosco. In bocca è sodo, polposo, qui il tannino che caratterizza il Bucerchiale di Selvapiana inizia a manifestarsi in modo evidente. Chiusura di bocca piacevole di spezia. Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale 1993: il tipico. Da un annata “classica” per andamento climatico, con inverno mite, primavera fresca e estate con temperature inferiori alla media degli ultimi anni, ecco il vino più rufinese di tutti. Macchia mediterranea, susina, ribes rosso, cenni di maggiorana e pepe bianco. La bocca è ricca con una freschezza penetrante che equilibra la concentrazione. Tannino vivo senza eccedere. Bella persistenza su toni freschi di ginepro e alloro. Chianti Rufina Riserva 1997: “il falso mito”, da queste parti la 97 non è stata l’annata del secolo. Una gelata in aprile compromise gran parte della produzione e infatti Selvapiana non esce con Bucerchiale, ma con la menzione riserva, con le uve provenienti da più vigneti. Il naso ha leggeri sentori evolutivi di rabarbaro, frutto in confettura e cenni di pomodoro. La bocca a dispetto del naso è rilassata ed equilibrata, con un finale di buona lunghezza, che riporta a confettura di mirtilli e alla ghiaia. Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale 1999: eterna giovinezza. Vino che a 21 anni è ancora timido e si rivela piano piano regalando grande soddisfazione al palato. Frutto integro e nitido tra ciliegia e ribes, balsamico e sanguigno anche questo 99 rivela un carattere molto territoriale rufinese e un po’ restio a mostrarsi subito in tutta la sua ricchezza e eleganza. Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale 2013: riparliamone tra una decina di anni. Per i vini della Rufina 7 anni sono l’infanzia con tutta l’energia esuberante della giovinezza, tra freschezza pronunciata e tannini che scalpitano. Il sangiovese giovane che sfodera anche i sentori di acciughina, la ciliegia fresca, tratti vegetali che lo rendono appena acerbo. Diamogli il tempo che si merita. Rufina è una parola sdrucciola, ma ahimé molti sdrucciolano proprio sull’accento. Perfino l’altoparlante della stazione di Pontassieve che annuncia le fermate del treno locale, ne sbaglia la pronuncia ponendo l’accento sulla i. Ogni mattina una fitta in pancia per noi poveri pendolari. Segnamocelo, si dice Rùfina con l’accento sulla U.” http://www.intravino.com/primo-piano/bucerchiale-fattoria-di-selvapiana-la-verticale-dal-1958-al-2013/